Donare ferie e permessi è una forma di solidarietà che si sta diffondendo in molte imprese per reagire alla crisi Covid-19. Ecco cosa prevede la legge e cosa possono fare i dirigenti grazie ai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali
L’emergenza sanitaria da Covid-19 ha moltiplicato le iniziative solidali all’interno delle aziende, alcune direttamente incentivate dal legislatore: fra queste, l’intervento volto ad aiutare i lavoratori più in difficoltà attraverso la donazione di giornate di ferie o permessi già maturati, come previsto dai vari contratti collettivi, da parte di altri lavoratori in possesso di un importante accantonamento di ferie o permessi relativo agli anni pregressi.
Le ferie non possono però essere donate senza guardare ai principi generali del nostro ordinamento.
In particolare, godere delle ferie è un diritto garantito dall’art. 36 della Costituzione. Inoltre, bisogna considerare la più recente disciplina prevista dal “Jobs Act”: l’art. 24 del D.lgs. 151/2015 ha infatti dato una definizione al meccanismo delle ‘ferie solidali’, secondo cui i lavoratori possono cedere, a titolo gratuito, riposi e ferie maturati a colleghi che devono assistere figli minori che necessitano di cure costanti.
La norma tuttavia chiarisce bene che non si concede alcuna deroga alle previsioni del D.lgs. 66/2003, che ha riformato le regole in materia di orario di lavoro alla luce delle direttive europee 93/104/CE e 2000/34/CE. Nessuna deroga significa che le ferie possono sì essere donate, ma non è comunque possibile rinunciare o monetizzare le 4 settimane obbligatorie di ferie di cui un lavoratore deve comunque godere per metà nell’anno di maturazione e per metà, nel caso dei dirigenti, entro i successivi 24 mesi.
Questo vuol dire che le ferie monetizzabili o anche donabili per un dirigente, ad esempio, del comparto industriale possono riguardare solo 11 giorni annui rispetto alle 35 giornate maturate ogni anno.
Secondo questa norma, la modalità di donazione delle ferie va individuata, quanto a misura, condizioni e modalità pratiche, da un contratto collettivo, anche aziendale.
Gli accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative, possono intervenire dunque e prevedere la donazione di ferie individuando tra i beneficiari i dipendenti in cassa integrazione o colpiti dall’emergenza epidemiologica, regolando anche la gestione contabile delle ferie donate.
Per rispondere alle finalità della donazione superando il computo in giorni – poiché il giorno di lavoro di un dirigente ha una valutazione economica maggiore rispetto a quello di un operaio e/o impiegato -, le ferie donate dovranno essere accantonate traducendole in valore monetario, attraverso meccanismi di conversione secondo i minimi salariali e gli elementi di paga del ricevente. Questo per evitare che la donazione di 5 giorni di ferie da parte di un dirigente si traduca nel conferimento di 5 giorni, dal valore economico inferiore, a favore di un lavoratore che guadagna di meno.
Si può considerare un traguardo, specie in questo momento di difficoltà per le imprese, introdurre una compartecipazione alla donazione delle ferie a carico aziendale in modo che, a fronte di un giorno donato dai dipendenti, il datore di lavoro aggiunga ulteriori giorni donati di ferie o permessi, favorendo così il circolo virtuoso della solidarietà.
Resta ancora poco chiaro cosa succede agli aspetti contributivi e fiscali della donazione solidale delle ferie: il Jobs Act non tocca il tema e, a oggi, non si hanno indicazioni specifiche né dall’Agenzia delle Entrate né dall’Inps.
Gli accordi sindacali possono però colmare il vuoto. Ad esempio, possono stabilire che le ferie donate siano da considerare non più maturate dal donante, determinando il venir meno dell’obbligazione contributiva (il dirigente che doni, dunque, non paga i contributi sulle ferie ‘donate’), mentre spetterebbe al beneficiario versare i relativi contributi insieme al datore di lavoro per le quote di rispettiva competenza.
Con riferimento agli aspetti fiscali, la tassazione Irpef potrebbe essere applicata in capo al beneficiario delle ferie e dei permessi solidali, dal momento che la mancata percezione del reddito di lavoro dipendente da parte del cedente non manifesta una capacità contributiva e non rileva un presupposto impositivo.
L’operazione non attribuisce un vantaggio economico e, dunque, è fiscalmente ininfluente. La fattispecie delle ferie cedute a livello reddituale infatti non concorre mai a formare la base imponibile del reddito del cedente, mentre rileva ai fini fiscali in capo al beneficiario che ne gode materialmente.